É il 5 luglio del 1982 quando l’Italia gioca contro il Brasile. Una partita di calcio che rappresenta un popolo intero. Tale partita, considerata come uno dei più grandi incontri di calcio di tutti i tempi, comportò l’eliminazione della nazionale brasiliana dalla competizione e venne definita dalla stampa verdeoro Tragedia del Sarriá ma fu per quella vittoria che l’Italia di Bearzot divenne Campione del mondo.
A Radio Kiss Kiss Italia ne abbiamo parlato con uno dei protagonisti, il più giovane di quella Nazionale Beppe Bergomi
Ida: buongiorno Beppe
Bergomi: buongiorno a tutti, sono passati 40 anni
I: vabbè, dai non ci pensiamo. Intanto tu entri al posto di Collovati infortunato e giochi in una delle partite passate alla storia
B: e sì, Bearzot mi ha detto ” ragazzo, scaldati “, c’erano 40 gradi e io dovevo andare in campo e marcare Serginho in quella che era forse la partita più importante nella storia della Nazionale perché abbiamo battuto un Brasile che era fortissimo. Era una grandissima squadra magari non al livello di quella del 1970 ma era molto forte e quini abbiamo fatto veramente una grande impresa
I: fu questa partita a far cambiare opinione sulla Nazionale, appesantita da tantissime critiche
B: sì, erano critiche soprattutto al nostro Mister, a Bearzot, soprattutto nella prima parte. Erano critiche per la scelta del gruppo, di quei 22 ragazzi. Eravamo effettivamente appesantiti tant’è che facemmo silenzio stampa ma Bearzot lasciò a noi la liberta di scegliere. Il nostro capitano, grande capitano Dino Zoff, ci rappresentava tutti. Quella partita per noi era fondamentale per andare avanti. Eravamo in flusso, Polonia, Germania sono arrivate dopo ma ormai avevamo la convinzione e la compattezza di poter vincere quel mondiale e di arrivare fino in fondo. E così è stato.
I: quindi voi ci credevate?
B: ma guarda, dopo la prima fase, sinceramente i dubbi c’erano. La squadra non giocava bene ma in un mondiale, e io ne ho giocati quattro, la prima fase è come un rodaggio e se poi stai bene fisicamente, pian piano vieni fuori e chi sta bene nella parte finale di un mondiale può avere tante possibilità di vincerlo. Noi stavamo bene, sia mentalmente che fisicamente perché poi nella squadra c’erano grandi giocatori ma anche grandi uomini che mi hanno aiutato tantissimo. Erano veramente dei campioni e alla fine lo hanno dimostrato sul campo.
I: tu eri il cucciolo della squadra. avevi 18 anni e mezzo ma avevi belle esperienze, avevi i baffi. Per sembrare più grande, perché?
B: no, non ho mai voluto dimostrare di essere più cattivo in campo o qualche anno in più. Da ragazzo, sai, quando ti cominciano a crescere poi li ho tenuti. Mio fratello più grande di quattro anni aveva i baffi anche lui, quindi solo per quello. Dopo quel mondiale li ho tagliati subito. Non volevo far paura a nessuno, assolutamente. Avevo già fatto le mie esperienze, ero preparato, mi sentivo pronto per quel gruppo indipendentemente dai baffi. Come sai, il soprannome me lo ha dato Gianpiero Marini quado avevo 16 anni, sono entrato nello spogliatoio, mi ha detto “quanti anni hai?”, io ho detto 16 e lui mi ha detto “sembri mio zio” e da allora è rimasto così
I: com’era l’atmosfera nel gruppo?
B: il gruppo era fantastico perché giocava da squadra, non c’erano egoismi, tutti remavano nella stessa direzione. Avevamo un obiettivo da raggiungere
I: e poi c’era lui, Paolo Rossi…
B: e tu mi ricordi Paolo Rossi, ricordo Gaetano Scirea, Enzo Bearzot, Cesare Maldini facevano tutti parte di quel gruppo lì. Ricordare Paolo, in questo momento, che fa la tripletta e da lì comincia il suo vero mondiale che ci porta poi a vincerlo e lui a vincere anche il pallone d’oro. Il suo sorriso, la sua simpatia, la sua voglia di vivere erano contagiosi. Era una persona solare, una bella persona, era veramente un esempio per tutti.
I: Beppe, grazie per essere stato con noi stamattina e per averci regalato tante belle emozioni
B: grazie a voi