23 maggio 1992 – 23 maggio 2022
Trent’anni fa fu ucciso Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo che precedevano l’auto del magistrato saltata in aria a Capaci, il tratto d’autostrada che va dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo. Roberto Saviano lo ha raccontato in un libro dal titolo Solo è il coraggio. Giovanni Falcone, il romanzo. E a Radio Kiss Kiss Italia ne abbiamo parlato proprio con lui
Ida: Roberto grazie di essere con noi
Saviano: buongiorno a voi”!
I: il tuo romanzo abbraccia dieci anni, si va dal 1982 al 1992 in cui accadono cose dolorose, drammatiche, momenti in cui riviviamo la lotta alla mafia e poi un finale che purtroppo conosciamo tutti.
S: decidere di scrivere un romanzo su Falcone ha significato soprattutto voler comunicare, raccontare quello che ha provato, permettendo alla lettrice e al lettore di essere con lui. E’ questa l’alchimia letteraria, non basta solo l’informazione, la storia, la tragedia ma come i protagonisti vivono quello che stanno attraversando. La storia di Giovanni Falcone è la storia di un genio, un grandissimo investigatore che cambia la storia del mondo inventando, anzi migliorando quello che aveva appreso dal suo maestro Rocco Chinnici e portandolo ad un livello altissimo cioè la capacità di indagine, seguire il danaro. Era un grande conoscitore dell’antropologia del potere, riuscì con lo strumento del diritto a dimostrare come eroina, cocaina, estorsione diventassero palazzi, consenso politico, ministeri, potere economico e quindi cambia per sempre non solo in Italia ma nel mondo. Da Singapore all’India, dal Messico al Canada oggi chiunque ai relazioni al potere criminale lo fa con il metodo creato da Giovanni Falcone e dal pool antimafia di Palermo
I: il tuo romanzo racconta bene tutto ciò alternandosi alle pagine della vita privata. Il libro ci porta nel cuore della lotta alla mafia fino poi alla discesa agli inferi perché Falcone aveva cominciato con entusiasmo questa sua battaglia. Poi però arriva l’isolamento, non gli verrà conferito nessuno degli incarichi ai quali ambiva
S: subisce soprattutto il fango che tra l’altro non si aspettava. Nel romanzo provo anche a raccontare questa ingenuità di un uomo che sa affrontare i pericoli, le responsabilità enormi ma poi ha delle ingenuità. E sì, si può essere in prima linea contro i clan e rimanere ingenui. Credeva che fosse evidente che stava agendo nella giusta direzione, non credeva che fosse evidente che l’ambizione declinata in questo modo cioè avere posti di responsabilità significa poter fare meglio . E invece no, il sottotesto è stato “ vai ovunque, vai in televisione per fare carriera, ma figurati se l’attentato non realizzatosi all’Addaura dove trovano una borsa piena di tritolo inesploso lo ha progettato Cosa nostra, te lo sei fatto da solo per fare carriera, utilizzi Contorno ( un pentito) per ammazzare i nemici corleonesi. Si è arrivato a dire di tutto. Chiaramente era la fogna del giornalismo ma arrivava questo fango, lo isolava. Il romanzo cerca di raccontare questi momenti, quello in cui Boris Giuliano cerca di allontanare la sua famiglia mandandola alla casa in vacanza perché sente intorno a sé che c’è troppa pressione. Poi lo ammazzeranno in un bar poco dopo aver allontanato la famiglia con leggerezza. E tu, narratore, in quel caso devi entrare in quei momenti che sono gli unici che permettono poi a chi sta leggendo di capire fino in fondo cos’è la scelta e quindi cos’è il coraggio: è una scelta. Ho voluto chiamare il romanzo Solo è il coraggio perché il coraggio non è qualcosa con cui nasci, come racconta Don Abbondio, è qualcosa che scegli e proprio per queto scegli indipendentemente dalle conseguenze e spesso, quindi, ti lascia solo
I: ci sono due momenti nel libro in cui parli del coraggio e della paura che poi vedremo. Il momento dell’isolamento viene fuori anche quando Falcone e Borsellino vengono mandati all’Asinara per preparare le carte per il Maxiprocesso mettendo in discussione anche i rapporti familiari. Lo Stato recapita loro il conto da pagare, quasi una beffa. Ma proprio all’Asinara.
S: all’Asinara avviene un miracolo, loro lavorano alla più importante inchiesta, quella che porterà poi al Maxiprocesso, la più importante inchiesta al mondo contro un’organizzazione criminale. Prima di queste carte scritte all’Asinara, l’opinione comune diceva sì chiamiamo mafia i crimini che avvengono in Sicilia. Loro, invece, dimostrano che c’era una struttura, una gerarchia con una storia, un obbiettivo e lo fanno all’Asinara perché devono essere messi in sicurezza totale, non devono essere raggiunti dalle pressioni esterne. E la storia del conto da pagare è paradossale. Lo Stato gli manda, probabilmente per un errore burocratico, il cibo da pagare e il vitto di quelle giornate passate all’Asinara. E lì c’è un pensiero costante, Borsellino ha una famiglia, c’è un momento in cui lui deve andare via perché la figlia non sta bene e Falcone in questo ha uno slancio profondissimo. Gli dice vai perché devi proteggere la tua famiglia mentre lui non avendo figli sente di poter invece continuare questa sorta di detenzione all’Asinara per scrivere centinaia e centinaia di pagine. L’inchiesta è stata un’opera quasi disumana, pensate che non c’erano i computer. Era difficilissimo anche poter andare negli archivi. Quello è stato un momento incredibile di resistenza psicologica
I: nel tuo romanzo ci sono anche molti momenti privati. Accenni alla prima moglie di Falcone, poi arriva Francesca, sboccia l’amore, la sua decisione di non avere figli perché per lui non era giusto mettere al mondo degli orfani. Ma c’è anche un altro momento dedicato a Rocco Chinnici che coglie le rose. Sono tutti a casa sua. E questi sono dei momenti molto toccanti, noi siamo accanto a loro. Come hai fatto a raccontare questi sprazzi di privato tenendo conto che Falcone era anche abbastanza riservato?
S: la mediaticità a cui è costretto non cede mai a spazi di privato. Sono riuscito a costruire, per esempio, momenti di pace e di convivialità a casa di Chinnici che era anche un ottimo cuoco tramite le testimonianze dei familiari , tra l’altro pubblicate perché Chinnici aveva un diario che per il mio romanzo è stato fondamentale. Sono riuscito a narrativizzare alcuni momenti e ad avere anche le emozioni che lui provava. C’è l’accenno alla prima moglie alla fine del loro rapporto e Falcone era un uomo ferito come chiunque in una storia che sta finendo. Allo stesso tempo, l’incontro con Francesca Morvillo, il mondo spinge al matrimonio perché temono per la reputazione. E anche questo è fondamentale, lo lascio sempre come sottotraccia, qualsiasi cosa può delegittimare la loro battaglia. Tutto quello che fanno, al di là della forma, lo fanno per dire va bene, mettiamo al sicuro il nostro impegno altrimenti utilizzeranno anche questo per dire che non sono degno di credibilità. Con Francesca Morvillo è stato difficilissimo ricostruire i rapporti. Ho trovato delle informazioni in qualche testo ormai fuori catalogo, interviste o testimonianze come quella di Ayala, per esempio, o il fratello di Francesca anche lui magistrato e persino l’ultimo momento di vita di Francesca, che al momento è l’unica magistrata uccisa, mi sono imbattuto in vecchi articoli usciti in quegli anni che riportavano alcune testimonianze di operatori sanitari dell’Ospedale dove lei era stata ricoverata subito dopo l’attentato. L’ultima parola che lei pronuncia è: “Dov’è Giovanni?”. Lo dice più volte, è il primo pensiero quando lei rinviene ed è l’ultima frase che pronuncia. E’ stato difficile trovare anche questo così come trovare une equilibrio. L’obiettivo non è parlare del privato ma dell’intimità emozionale che è quella che conta sempre. Io faccio sempre differenza tra privato dove è inutile entrare e l’intimo che, invece, è qualcosa di raccontabile per raccontare e narrare il senso che ha dato alla vita quella persona.
I: e a proposito dell’intimo, è bellissimo il momento in cui Giovanni e sua moglie sono a letto. Francesca dorme, lui le osserva la nuca bianca mentre in sottofondo c’è un’opera. E se il tuo obiettivo era quello di trasmettere emozioni, qui ci sei riuscito perfettamente. Ci sono poi due momenti in cui tu scrivi del coraggio e della paura e sono in corsivo. Falcone aveva paura? E nonostante questo era coraggioso? Come si può essere coraggiosi avendo paura e viceversa.
S: ma sai, questo l’ho imparato proprio da lui e dai suoi, intendo dire dagli amici e dai maestri che lo hanno nutrito e con cui si è formato. La paura è, in realtà, qualcosa di positivo perché dà l’allarme, fa alzare le antenne e ti fa capire che devi essere in grado di proteggerti. C’è un pericolo, la paura salda esattamente come il dolore. Paura e dolore sono elementi vitali, la codardia no. La codardia è la paura che ha assunto un ruolo di dominio e anche di potere su di te. E poi la codardia è quasi sempre una scelta, scegliere la strada neanche più comoda ma quella più apparentemente conveniente, quella impensata, viscida. La risposta che tra l’altro Falcone dà in un’intervista “ non si tratta di avere paura ma essere dominati dalla paura” e con prudenza e con il suo solito garbo non dice codardia perché essere dominati dalla paura è la codardia. E quindi il coraggio diventa scelta in presenza della paura e generata addirittura dalla paura, la paura che le cose non mutino, la paura che la condizione in cui tu continui a stare, la tua terra in cui continui a stare possa essere per sempre. La paura di essere dentro di te senza più un senso perché non stai scegliendo come dovresti e, quindi, la pura nutre il coraggio. La riflessione che faccio fare su quanto costa il coraggio, quanto pesa il coraggio perché il coraggio non è identificabile con un organo. Per ogni cosa c’è un organo, ma per il coraggio non c’è perché in realtà può essere realizzato solo quando tutti gli organi partecipano alla scelta, la pancia, lo sguardo, la tempra, i muscoli. Anche questo ho imparato da loro perché loro fisicamente sanno che ogni volta che fanno una scelta a pagare è il corpo. Gli sguardi altrui, “ chi ti credi di essere”, quando si fanno crescere la barba cosa significa, quando sono abbronzati cosa significa. Il coraggio significa anche prendere la responsabilità su tutte le declinazioni del corpo
I: tu sai bene cosa hanno subito Giovanni Falcone, Borsellino e poi tutto il pool
S: lo so bene perché ho studiato e perché ho cercato in loro di imparare come sopportare o gestire una serie di cose che sono capitate nella mia vita e che continuano a capitarmi. Imparo da loro che hanno scelto e patito il fango perché questo è un romanzo dove continuamente piove una quantità di mondezza da persone che spesso Falcone considerava dalla sua parte e non da giudici corrotti. Questa cosa è fondamentale. I veri nemici di chi porta avanti queste lotte non sono operativamente i corrotti che invece identifichi, sai chi sono ma coloro che ti sono accanto e che decidono di non appoggiarti. Per Falcone uso le parole della sentenza dell’Addaura: invidia.
I: invidia che poi esplode quando Falcone passera a dirigere l’ufficio di affari penali voluto dall’allora guardasigilli Claudio Martelli. E lì non viene più visto come magistrato ma come politico. Il tuo romanzo è la storia di una profonda amicizia tra questi uomini da Terranova a Chinnici, Falcone, Borsellino e Caponnetto che era riuscito a creare il pool antimafia. Alla fine, però, muoiono tutti.
S: sì, muore Giovanni Falcone, muore Paolo Borsellino. Uccidono Rocco Chinnici ecco perché arriva Caponnetto. Quando lui arriva sono tutti molto diffidenti, i cosiddetti plasmoniani. Chinnici li chiamava così, li prendeva in giro, mangiavano i biscotti Plasmon che rendevano forti i bambini. Caponnetto era sì un giudice siciliano ma toscano. Sono tutti diffidenti e invece si rivelerà un vulcano di energia e di coraggio e ancora una volta grande conoscitore del diritto e questo non era un dettaglio perché loro non costruiscono un sistema fatto solo di repressione e manette. Loro descrivono come è fatto il potere, gli investimenti, la creazione del consenso, le regole mafiose, il mondo gerarchico mafioso. Persino la parola mafia non è mai pronunciata dagli affiliati ma è Cosa Nostra. E’ importante conoscere quella semantica perché Cosa Nostra ha in sé la risposta vera come la camorra a Napoli è il Sistema tra gli affiliati. E’ un giudizio sulle cose “ è cosa nostra, lascia stare”. Così nasce, è un giudizio sulle cose che governano, non tutte le cose. E’ una cosa importante da comprendere perché è un giudizio anche sul mondo. Giudica le persone sempre e solo in base al vantaggio o svantaggio che tu hai avuto cioè ti ha portato un vantaggio, ti ha fatto un favore? Giudicalo bene. ti ha trattato male, non ti ha fatto favori, è tato indifferente alla tue richieste? Allora lo devi giudicare male. Questo comporta che un capo, anche se ha ammazzato, anche se lo condannano a te cosa ha fatto? Del bene? E allora è una brava persona. E’ un ragionamento estraneo a noi ma noi ragioniamo sostanzialmente così nel nostro tempo, nella nostra vita. quindi quando tu entri nelle logiche mafiose tu stai entrando nel nocciolo della tua vita e questo loro lo capiscono e lo elicitano. Il codice è potere, agisce così in ogni sua forma. Le mafie lo rendono in a declinazione visibile quando sei in grado di scoprirlo
I: a tal proposito Super procura, Super Cosa
S: sì esattamente. Ad un certo punto si crea mediaticamente la Super procura e Riina costruisce la Super Cosa e manda dei sui uomini A Roma a capire che morti fare. Ragionano su chi potrebbero colpire per dare un messaggio all’Italia e quindi nell’elenco figura Renzo Arbore. Loro lo incontrano e pensano se ammazzarlo o no. Barbato, Biagi e fanno altri nomi che vengono tutti bocciati. Poi il nome di Maurizio Costanzo perché le sue trasmissioni e quelle di Michele Santoro erano contro Cosa nostra. Decidono di seguirlo per ammazzarlo. L’ordine era se si può fare con le armi fatelo, se bisogna usare altre cose cioè le bombe, no. E lo seguono dal Teatro Vittoria fino a quella che loro considerano la sua abitazione ma sbagliano perché Costanzo sta andando a casa di Vincenzo Scotti all’epoca Ministro dell’Interno per cui c’è una camionetta fuori casa. Dicono no dunque, troppe sparatorie, non si può fare e decidono di desistere. Costanzo lo scoprirà solo anni e anni dopo. Loro avevano quell’obiettivo, colpire chiunque fosse mediatico per dare il messaggio
I: il tuo romanzo si apre con un capitolo in cui racconti un episodio a me sconosciuto. Il tritolo usato per far saltare Falcone era stato ricavato da una bomba pescata in fondo al mare, un residuato bellico. E per Ruiina si chiude un cerchio perché proprio un residuato bellico distrusse la sua famiglia
S: ho cercato questa simmetria perché era reale. Il romanzo inizia con il racconto di una contrada di Corleone dove c’è un contadino, Giovanni con i suoi figli, che va a raccogliere residuati bellici per venderli. Una bomba era come il maiale, non buttavi via nulla, svuotavi della polvere pirica che la davi a chi faceva fuochi d’artificio, la svuotavi di tritolo che davi ai cavaioli e il metallo lo rivendevi ai rigattieri. E così fa, quella mattina Giovanni, apre e dà un colpo alla bomba, toglie il sifone. Ormai è abile. Sa farlo. Poi trovano un’altra bomba più strana, più lunga, in realtà un colpo di cannone. La aprono e non vedono niente, il colpo di cannone ha solo nella base la polvere. Decidono di portarla a casa e aprirla con calma, la mette sul tavolo di casa, dà un colpo con martello e pietra ed esplode. Immaginate un colpo di cannone della seconda guerra mondiale che esplode in una casetta di contadini e muoiono tutti tranne uno, un bambino di 12 anni che si chiama Salvatore. Quello era Totò Riina, Giovanni era suo padre, muoiono anche i fratelli. Lui sopravvive perché lo spostamento d’aria lo salva dall’essere dilaniato, incredibilmente.
I: alla fine di questa nostra chiacchierata, il sacrificio di Falcone è valso la pena?
S: è difficile rispondere, potremmo dare la risposta più semplice che non significa che non sia vera ma per una vita massacrata e soprattutto resa così difficile sento che non posso darla io la risposta. Quello che sento di poter dire è che ho imparato tantissimo dalla sua vita e dalle sue scelte e dal suo genio e che gli devo tutto rispetto a quello che conosco di questo mondo criminale e quindi del mondo in cui vivo. In questo senso gli devo tantissimo. Se ne è valsa la pena sento che non posso rispondere, non sono in grado di poterti rispondere.
I: Solo è il coraggio, Giovanni Falcone. Il romanzo. Grazie a Roberto Saviano
S: Grazie a voi