8 marzo 2022: la giornata internazionale della donna ha un significato diverso. Non solo riflessioni sull’occupazione femminile, sulla differenza salariale, sulla violenza che molte volte si traduce in delitto. Questo 8 marzo 2022 è nello sguardo delle donne ucraine sul fronte di guerra. Ci perdiamo nei loro occhi, nelle loro lacrime e nella loro sofferenza, nella forza per portare in salvo se stesse e i loro bambini. Le immagini ci colpiscono al cuore, strazianti, dolorose. A Radio Kiss Kiss Italia ne abbiamo parlato con la scrittrice Silvia Avallone.
Ida: questo 8 marzo non è uguale agli altri. Anche tu lo hai dedicato alle donne ucraine
Avallone: penso che un po’ come tutti, in questi giorni, non riusciamo a staccare lo sguardo, la partecipazione emotiva, la preoccupazione, l’angoscia da quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa ci chiama tutti in causa. Questo 8 marzo per me è sempre una giornata estremamente importante perché dobbiamo ricordare tutte le battaglie che sono state fatte e quelle che ci sono ancora da fare per la parità di genere in Italia e altrove. Ecco che il dramma, le atrocità che accadono in Ucraina e le testimonianze delle donne che vi resistono, che le combattono, che fuggono, che partoriscono nei bunker sotto gli ospedali o che perdono la vita, secondo me insieme alle donne russe che protestano contro la guerra, per la pace, insieme a tutte le donne del mondo che combattono contro le logiche del potere, della violenza, della sopraffazione che ancora dominano la storia, beh loro rendono questo 8 marzo ancora più importante.
I: se parliamo di sofferenza, come non capire anche le donne russe che hanno i loro figli al fronte. Come si può fare una differenza?
A: la sofferenza delle donne è davvero trasversale durante tutto l’arco della storia con la S maiuscola. Abbiamo sempre parlato di donne e bambini come le vittime, i tagliati fuori, gli esclusi, coloro che hanno subito più violenza e lo vediamo nei bambini che muoiono. Sono immagini davvero che non si possono accettare. Sopportare il dolore delle madri è inimmaginabile. Ecco, tutto questo dolore deve essere guardato in faccia, deve essere ascoltato perché là dentro c’è la chiave per un altro tipo di storia che, secondo me, non è un’utopia perché le donne, le madri, le sorelle, le figlie hanno sempre costruito un altro tipo di storia che non ha la logica del togliere dal mondo ma la logica del mettere al mondo. C’è sempre stata la volontà delle donne di salvare ciò che veniva distrutto sgobbando nelle fabbriche, nelle case, nelle infermerie da campo o portando il lutto. Le donne sono sempre state testimoni della vita concreta delle persone, della morte delle persone che nulla ha a che fare con la logica della geopolitica, delle conquiste e delle tirannie. Quest’altra storia che è molto più vera perché guarda in faccia i volti delle persone è una storia diversa, è la storia di chi si prende cura degli altri, di chi ha un orizzonte del noi e non di se stesso e basta e dei suoi interessi
I: una storia che spesso mette gli uomini davanti a tutto e tutti. Intanto, guardiamo le immagini di queste donne nei rifugi, per strada e ci chiediamo: ma come faranno a lavarsi, come faranno a cambiare il pannolino ai loro bambini. Sono domande che ti sei posta anche tu, piccole riflessioni sul quotidiano, gesti semplici ma che in questo momento rappresentano un quotidiano doloroso.
A: l’immedesimazione, almeno per me, è stata subito diretta. Quando vedi tutte queste immagini di quindicimila persone stipate con le coperte, accampate nelle viscere, sotto una metropolitana mentre ci sono le bombe, ti chiedi: quanti bagni ci sono in quella metropolitana, come fanno appunto a lavarsi, a cambiare i bambini e a disinfettare i biberon per dare loro il latte. Ci sono delle domande pratiche che hanno a che fare con la libertà, con l’avidità. Sono davvero i diritti basilari delle vita umana e noi che guardiamo siamo giocoforza coinvolti. Veniamo da due anni di pandemia e sappiamo bene cosa significa la precarietà del presente e, dentro una guerra, questa precarietà arriva a dei livelli che come abbiamo visto sono insostenibili. Per strada i corpi di persone che cercavano di scappare, ecco tutto questo è il crollo totale di ogni significato, di ogni senso e dentro questo crollo ci sono delle donne che mettono al riparo i libri delle biblioteche, che rischiano di essere bombardate, che allestiscono degli asili di fortuna per intrattenere i bambini sotto i bombardamenti, che si prendono cura degli anziani, li accompagnano affinché ogni fragile, ogni ultimo, ogni povero che magari non ha la forza, i mezzi per fuggire venga tutelato. Ci sono persone che non hanno potere ma hanno la forza di mettere in salvo, la forza di ricostruire e di prendersi cura. Questa è una testimonianza enorme di cui ci dobbiamo occupare
I: vorrei chiudere questa nostra chiacchierata agganciandomi alla parte finale del tuo articolo. Hai citato Fëdor Dostoevskij, suo malgrado uno dei protagonisti di discussioni in questi giorni. Nei Fratelli Karamazov scrive: “La vita è un paradiso e noi siamo in paradiso ma non vogliamo capirlo. E, invece, se volessimo capirlo domani stesso il mondo intero diventerebbe un paradiso”. Perché non lo vogliamo capire?
A: dobbiamo capirlo. Io ho sempre fiducia perché c’è qualcosa che si chiama cultura, qualcosa che si chiama solidarietà, memoria, memoria del dolore he è passato, volontà di farsi carico di quel dolore e trasformarlo in azione positiva, costruttiva. Abbiamo gli strumenti, se vogliamo, per cambiare il nostro modo di convivere su questa terra, di vivere dentro un pianeta rispettando l’altro perché l’altro sono io. Noi viviamo specchiandoci negli altri
I: Silvia, grazie di aver viaggiato con noi e, nonostante tutto, buon 8 marzo anche a te.
A: grazie di cuore, buon 8 marzo a tutte voi!