Sono ritornati ancora una volta al fiume per una battuta di pesca: due uomini e un ragazzino, figlio del loro vecchio amico Eusebio, morto annegato tanti anni fa. Tirano su dalle acque una razza, la appendono al ramo di un albero, i tre fori di proiettile che l’hanno uccisa ben mimetizzati sul dorso chiazzato. Bevono, mangiano davanti al fuoco, giocano a carte e ballano, parlano poco. Lì al fiume, nella quiete scandita da gesti essenziali, s’infiltrano fantasmi antichi nei pensieri, come quello di Eusebio che si allontanava nell’acqua notturna e scura, insieme agli altri morti dell’isola. Nel torpore alcolico innescato dal vino la realtà e il sogno si sovrappongono, si confondono le congetture e i fatti.E mentre il romanzo scorre e il fiume guarda, inesorabile e pulsante come le piante che da millenni popolano il bosco oltre la riva, si dispiega il velo di ricordi che imbozzola le loro vite asciutte: rischiarate a sprazzi da un lampo d’amore, eppure schiacciate da una rabbia che è il frutto più duro della miseria, e sempre macchia il respiro di chi si trova a nascere in certi angoli remoti dell’America Latina.
Selva Almada, scrittrice, poetessa e attivista femminista, è una delle nuove voci letterarie più importanti dell’America Latina. Le sue opere sono state paragonate a quelle di William Faulkner, Carson McCullers, Flannery O’Connor e Juan Carlos Onetti. Non è un fiume è il suo primo romanzo tradotto in italiano.