Giuseppe Antonelli a KKI: “Gli acronimi fanno perdere solo tempo”

Tari, Spid, Crs, Isee, Pnrr, Mise, Mibact, Mef…. Sono solo alcuni degli acronimi che ci ritroviamo a leggere o ascoltare ogni giorno. Ormai bisogna imparare a districarsi tra le tante, forse troppe, sigle. Di questo si è accorto anche Sergio Mattarella. Durante il suo intervento all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Siena, il Presidente della Repubblica ha esposto proprio le sue perplessità su questa “lingua” fatta di sigle. A Radio Kiss Kiss Italia ne abbiamo parlato con Giuseppe Antonelli, docente di linguistica all’Università di Pavia.

Ida: Giuseppe Buongiorno!

Antonelli: buongiorno Ida e buongiorno alle ascoltatrici e agli ascoltatori

I: cosa sono gli acronimi?

A: gli acronimi sono le sigle, sono parole formate dalle iniziali di altre parole e che quindi risultano ben poco trasparenti, poco comprensibili se non si sa cosa c’è dietro questo meccanismo.  Se noi sappiamo che c’è una sigla ma non sappiamo cosa ‘è dietro, per esempio il Dna, lo usiamo come tale e non ci preoccupiamo di sapere quale sia davvero il significato. Il Pnrr fa parte di quelle sigle che non hanno grandi trasparenze. Il Presidente si chiedeva se fossero stati fatti degli studi, beh l’Università della Calabria dal 1998 al 2006 aveva documentato tutti gli acronimi presenti nell’UE, ce n’erano anche alcuni buffissimi. Intanto sono centinaia. C’era lo scic, servizio comune di interpretazione conferenze; il pop, programma operativo pluriforme e lo strip che però non aveva nulla di erotico. E’ rimasto negli annali un tweet del Comune di Bologna in cui si annunciava l’apertura del centro dell’arte contemporanea sulla cultura alimentare, l’acronimo era Cacca

I: ahahah, intanto gli acronimi aumentano, siamo circondati. Per esempio lo spid o l’Isee o la Crs che è la carta dei servizi. Oggi sono documenti richiesti ma non sappiamo cosa significano quelle sigle. Ci sono poi anche i ministeri, il Mise, il Miur, il Mibact. Che rapporto c’è tra i cittadini e il politichese e il burocratese?

A: è un bel guaio. A volte l’acronimo serve a rievocare qualcos’altro. Spid, per esempio, anche se è scritto diversamente, ci ricorda la parola inglese speed ovvero la velocità come a significare che in questo modo risolviamo velocemente. Altre volte non c’è neanche questo effetto. Intanto non è un fenomeno così recente. A  parte che già Enrico Letta, quando era Presidente del Consiglio nel 2013 disse come battuta “ se io fossi un dittatore europeo per mezz’ora abolirei tutti gli acronimi. Ma  il fenomeno è ancora più antico. Un saggio fondamentale sulla lingua del Terzo Reich, la lingua in Germania ai tempi del nazismo scritto da Viktor Klemperer si intitola proprio LTI ovvero Lingua tertii imperii. Insomma un acronimo perché pare che fosse davvero una mania per il regime nazista utilizzare le sigle, tendenza che aveva preso piede anche nella vita di tutti i giorni. Anche il campo militare fa uso di acronimi. C’è una scena in Good morning Vietnam con il compianto Robin Williams, il protagonista usa una serie di sigle che diventano uno scioglilingua che voleva proprio ironizzare su questa mania. Non è una cosa che ci fa guadagnare tempo perché si fa talmente tanta fatica a capirle che poi si perde tempo. Un saggio linguistico del 1966, dunque più di 50 anni fa, diceva che “ le sigle non portano affatto un risparmio di tempo, spazio, carta e inchiostro, fosforo. Non parlano ma hanno bisogno dell’interprete”

I: stiamo parlando di acronimi nell’anno del 700 anniversario dalla morte di Dante. Il sommo poeta era anche molto pop. Cosa ne avrebbe pensato lui?

A: Dante sicuramente non avrebbe avuto grande simpatia per queste sigle. Lui sceglie di scrivere il poema che poi fonda la nostra tradizione culturale e linguistica ovvero la Divina Commedia in lingua volgare, la lingua del popolo, quella di uso comune  e non nel latino che era la lingua dei letterati. Lui stesso lo usava per altri tipi di opere. Dante era sicuramente popolare, sappiamo che già dal ‘300 c’erano persone che per strada cantavano i suoi versi. Ci sono delle novelle in cui un Dante personaggio incontra un fabbro e un asinaio e lui si innervosisce perché cantano male aggiungendo parole che lui non aveva scritto. Dante, dunque, era popolare già dal XIV secolo e poi è diventato pop  grazie al cinema, ai fumetti – per esempio L’inferno di Topolino – grazie ai videogiochi. Dante è davvero il padre della lingua italiana, più dei due terzi delle parole che fanno parte del lessico fondamentale che usiamo tutti i giorni  risalgono al suo poema.

I: grazie di aver viaggiato a bordo con noi. con quale acronimo ci salutiamo?

A: senz’altro Tvb

I: allora anche noi Tvb

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