Nomofobia, cos’è e come curarla. Gaia Vicenzi: “Essere connessi ci fa sentire sicuri”

 

Oh smartphone, mio caro smartphone… quante volte ci siamo ritrovati senza cellulare oppure senza campo e abbiamo cominciato ad avvertire un senso di vuoto o di ansia. Fin quando le sensazioni sono temporanee, siamo nella norma. Il problema si pone, invece, quando cominciamo ad avvertire un certo nervosismo associato ad uno stato di irrequietezza. In questo caso potremmo essere affetti da “nomofobia” ovvero la sindrome di assenza da smartphone. Il termine arriva dall’inglese no mobile phobia. A Radio Kiss Kiss Italia ne abbiamo parlato con la psicologa Gaia Vicenzi

Ida: buongiorno e bentrovata

Vicenzi: buongiorno a te e agli ascoltatori

I: in questo periodo in cui siamo costretti a stare più da soli, con relazioni quasi azzerate e distanziamenti vari, non possiamo più fare a meno del cellulare. Cos’è la nomofobia?

V: intanto è una patologia, una di quelle nuove che si affacciano in questa era di internet ed è proprio la paura di essere disconnessi dal mondo, di non essere rintracciati. E’ anche una sorta di dipendenza e la caratteristica è che se mi manca l’oggetto in entro in uno stato di panico, di astinenza da un lato e dall’altro ne ho sempre più bisogno per ottenere soddisfazione. Quindi, quello che prima poteva essere per me una connessione al cellulare nella norma, poi sconfina e diventa sempre più eccessiva per cui ho la compulsione ad accedere al cellulare per controllare di non essere disconnessa. Nel momento in cui mi rendo conto che le tacche di connessione col mondo si abbassano, cresce invece il mio senso di disperazione.

I: dietro questo rapporto compulsivo con il cellulare è come se noi cercassimo di colmare dei momenti di vuoto, una sorta di controllo di noi stessi. E’ così?

V: è assolutamente così. Tra l’altro, a proposito del riempire il vuoto, c’è un signore che si chiama Madlov che ha definito quali sono i bisogni dell’uomo, li ha messi in una piramide a cinque strati. I primi bisogni sono quelli fisiologici, al secondo step ci sono i bisogni di sicurezza. Ecco, se prima eravamo all’apice della piramide e avevamo dei bisogni molto elevati, in questo momento di pandemia siamo ripiombati al secondo stadio cioè abbiamo bisogno di non essere contagiati, di stare nelle nostre case, di sentirci protetti. Che cos’è la nomofobia? In realtà è la paura di non sentirci sicuri perché uno di quei pochi collegamenti con il mondo ce l’abbiamo col cellulare, questo ci rende sicuri. Allora tornando al vuoto, cosa stiamo dicendo’ stiamo dicendo che nel momento in cui ci manca qualcosa, noi ci sentiamo persi. Mentre prima eravamo nella società dell’avere tanto, ora ci sentiamo di avere poco e quindi ci appigliamo a quelle poche sicurezze che il mondo ci dà e una di queste è la garanzia di una connessione ad internet.

I: quali sono i segnali che devono poi farci preoccupare, quando si è nomofobici?

V: il segnale che ci fa preoccupare sempre, indipendentemente dalla patologia, è il fatto che la nomofobia alteri le nostre funzioni di vita. Se io, quindi, comincio a mangiare di meno perché devo guardare il cellulare, se io inizio ad essere molto distratto perché controllo il cellulare, insomma se il mio normale processamento della vita è alterato dall’ingresso dello smartphone allora dobbiamo preoccuparci. Se ci rendiamo conto che la nostra giornata è scandita dal ritmo del cellulare vuol dire che noi siamo diventati dipendenti e succubi dello stesso.

I: non so quante volte capita di parlare con qualcuno che guarda il cellulare e ti dice ” parla, ti ascolto”. E’ una dissociazione?

V: sì sì, ma questo vale anche per il cellulare alla guida. C’è chi dice ma io sono sicuro ma intanto si potrebbe guardare il telefono anche in un altro momento. Il problema è proprio il fatto che non sappiamo posticipare, ci sembra che se non lo facciamo in quel momento, il mondo possa cascare. E quel senso di vuoto di cui parlavi è proprio questo, se non lo faccio adesso chissà cosa succede. In realtà, e a volte lo vediamo, se non lo facciamo poi ci dimentichiamo addirittura di farlo e queto significa che appunto non era una cosa così importante.

I: come ci si cura?

V: avevo sentito parlare, ma io non l’ho mai utilizzato, di un’app che pianta le piantine. Tutte le volte che non usi il cellulare la piantina cresce, invece se lo apri subito la piantina muore. La dimensione è proprio questa. Puoi provare a dilazionare il desiderio di aprire il cellulare nell’ottica che se non lo apriamo avremo un ricompensa e se non è una piantina che cresce, almeno è il senso di soddisfazione che possiamo avere nei confronti di noi stessi perché sappiamo controllarci e sappiamo non essere così schiavi di qualcosa di esterno.

I: Gaia, grazie di essere stata con noi

V: grazie a voi

 

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