Attraverso l’amicizia tra due ragazze il ritratto di una generazione sul finire degli anni Sessanta nel corso di tre anni di scuola. Una educazione sentimentale e politica, una scoperta del mondo visto dalla periferia della città industriale popolata di immigrati, un manifesto dell’adolescenza dove fra Kerouac e Dylan Thomas, Linus e Bob Dylan ironia e dolore si mescolano, e fa irruzione la vita vera. La compagna Natalia è un racconto lieve e insieme profondo che coinvolge e commuove.
«Questo romanzo è e resterà unico. Perché è scritto con passione, profondità, ironia, rigore, dolcezza, e con uno sguardo sobrio e intenso, poetico e politico sul mondo».
Lella Costa
Fine degli anni Sessanta, periferia torinese, una ragazzina, terminate le scuole medie, viene iscritta dai genitori a una scuola sperimentale per segretarie d’azienda, ospitata in un più grande istituto per periti tecnici, esclusivamente maschile e maschilista.
Ogni giorno quando arriva in classe trova seduta al suo banco, tranquilla e concentrata, una ragazza diversa dalle altre. È la compagna Natalia, perfetta, forse per questo lei e le compagne tendono «ad evitarla pur essendo, tutte, fortemente attratte dalla sua aura» – appena poteva leggeva un libro bianco con delle righe rosse e i titoli neri, quasi fosse un vessillo. Così, in quell’orizzonte di periferia, irrompe la compagna Natalia. Dapprima è un’amicizia tra due ragazze, e i modi spregiudicati dell’amica (arriva fino a baciare davanti a tutte il suo uomo-maturo e si fa esonerare dall’ora di religione) sono come un magnete e un contagio: un’amicizia che crescerà per i tre anni della scuola. Ma non solo, il vento del Sessantotto è arrivato anche in quell’istituto tecnico, lei diventerà una forza di emancipazione per tutte, destinata alla fine come tutte le avanguardie a un superbo isolamento. Ma la storia, che si esprime in questa amicizia totalizzante, è solo in parte quella della formazione di una giovane che impara «come gira il mondo». Protagonista, inevitabilmente per via degli anni irripetibili di vorticosi cambiamenti in cui è ambientata, si trova ad essere una generazione; la parte femminile di questa generazione. Insomma si condividono i tanti episodi singolari che scandiscono le giornate di un gruppo di ragazze alle prese con le svolte cruciali della propria vita, e insieme si percepisce l’intero muoversi di quel tempo di rivolgimenti radicali, anche perché chi racconta in prima persona ha un temperamento e una autenticità capaci di trascinare fin dentro il suo sguardo i sentimenti, le emozioni e la sua naturale ironia. Un epilogo venti anni dopo («i miei morti mi mancano ogni giorno alle diciassette») dice alla fine come tante vicende sono andate a finire, svela verità nascoste e mostra certe ironie della vita. Ma in tutte le parole di questa prosa da diario, straordinariamente coinvolgente, che sa cogliere il lato comico così come la commozione, senza espressioni stereotipate e artifici, e sempre musicale, è il presente di lei che emerge in tutta la felicità di esserci. Ed è questo presente che vuole rappresentare, rendendone il senso e le ragioni, Antonia Spaliviero in questo suo romanzo postumo.
Antonia Spaliviero è nata a Vo’ nel 1954 ed è cresciuta a Settimo Torinese. È morta nel 2015. Fondatrice del La-boratorio Teatro Settimo, ha dedicato la vita alla scrittura per il teatro ed al teatro fuori dai teatri: dalle scuole alle fabbriche. Questo è il primo dei romanzi che non aveva pubblicato.