Il mondo del lavoro dopo la pandemia: in continua evoluzione. Sono tanti, infatti, i cambiamenti che con una certa velocità si stanno registrando in questo settore. E’ come se durante i lunghi mesi del Covid avessimo realizzato che nella vita non si può correre solo per lavorare. A Radio Kiss Kiss Italia ne abbiamo parlato con il Prof. Mariano Corso dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, tra l’altro autore di una ricerca molto interessante sul fenomeno della Great Resignation
Ida: Prof. Corso, buongiorno!
Corso: buongiorno a voi
I: con lei abbiamo ampiamente parlato già di un cambiamento a proposito dello smart working durante la pandemia. Ora assistiamo al fenomeno delle dimissioni. Cosa sta succedendo?
C: sta succedendo quello che alcuni psicologi chiamano sindrome post traumatica. Dopo i due anni di pandemia, a fronte anche delle incertezze esterne che abbiamo, le persone non stanno bene, hanno esigenza e voglia di cambiare, un bisogno che spesso le imprese non riescono a comprendere, a cui non riescono a dare delle risposte. Questo fenomeno è molto forte anche negli altri Paesi, anche negli Usa e persino in Cina. In Italia non si vede così tanto nei numeri che sono importanti ma il numero delle dimissioni, di coloro cioè che effettivamente cambiano lavoro a causa delle rigidità del nostro mercato, nascondono un disagio molto più ampio. Noi abbiamo misurato che il 45% dei lavoratori italiani o ha cambiato già lavoro negli ultimi dodici mesi o intenderebbe farlo nel breve periodo. Il 45% vuol dire un lavoratore su due
I: quali sono le motivazioni che porta a questo cambiamento?
C: c’è una molteplicità di aspetti. Soprattutto per alcune figure professionali e alcune fasce anche anagrafiche, il mercato del lavoro è oggettivamente ripartito. Le reti di ricerca dei talenti si sono allungate, oggi le imprese assumono in un perimetro molto più ampio. Ci sono anche aziende internazionali che assumono in Italia lasciando le persone residenti in Italia. Le retribuzioni qui sono molto più basse di quelle dei Paesi vicini e quindi in parte c’è una fisiologica ricerca di condizioni migliori. In realtà un terzo fattore che conta per un lavoratore su quattro che vorrebbe cambiare lavoro è questa esigenza dovuta al benessere fisico e psicologico che manca. Questo è davvero impressionante. Abbiamo stimato che il 91%, quindi più di 9 lavoratori su 10, non sta bene dal punto di vista fisico o psicologico-relazionale. Questo bisogno è largamente incompreso perché solo il 5% delle imprese ritiene che questa sia una criticità. A fronte di queste difficoltà quindi cercano un cambiamento, non sempre migliorativi dal punto di vista della retribuzione o del cosiddetto work in balance. Per esempio, c’è un numero crescente di lavoratori che lascia per andare magari a lavorare in una start up con retribuzioni che spesso sono inferiori e con minori tutele e certezze. Però cercano spazio per le proprie passioni, per il proprio possibile impatto, per una ricerca anche di un significato di ciò che fanno
I: le aziende dunque non sono preparate ad affrontare questo cambiamento?
C: no, non lo sono anche perché a fatica stanno cercando di trovare un equilibrio nuovo. Oggi il tema importante è quello dei modelli ibridi, quindi da una parte le persone chiedono flessibilità dall’altra le imprese cercano di ritrovare anche una dimensione più collettiva in presenza. Spesso però non si tratta di un ibrido intelligente in cui uno cerca il merito, il meglio andando a svolgere attività dove ha più senso. Sono dei modelli convenzionali in cui ti vengo incontro per le tue esigenze personali dicendoti che devi fare sempre lo stesso lavoro, non riorganizzo le attività ma in parte le fai a casa in parte le fai in ufficio. Ecco, questo non un ibrido intelligente ma forzato, convenzionale. Alla fine le imprese hanno capito che devono dare flessibilità che è solo un fattore igienico d’ingresso, quello di cui hanno bisogno le persone è autonomia, motivazione
I: quindi le aziende devono coinvolgere di più, facendo sentire il lavoratore parte integrante dell’azienda, appassionandoli di più
C: assolutamente sì ed è quello che spiega determinati fenomeni come quello che dicevo prima ovvero le start up. Certamente abbiamo visto che il fattore che davvero motiva, ingaggia è l’autonomia, il fatto di poter lavorare per obiettivi, di vedere i propri risultati riconosciuti all’interno di un team e dell’intera azienda
I: Prof. Corso intanto grazie di essere stato con noi stamattina
C: grazie sempre a voi!